MERCOLEDì 12 DICEMBRE 2018 ( Mt. 11, 28-30)
Oggi salutiamo e preghiamo con il rito delle esequie nella messa per l'amico Lorenzo alle 11.30. Lo affidiamo all'amore di Dio,c he sorpassa ogni intelligenza.
“Ristoro”
Mi son sempre risultate enigmatiche queste parole di Gesù. Per non dire anche…antipatiche!
Si parla, sì, di ristoro, ma ad una condizione: assumere il giogo di Gesù. E nella mia testa il giogo ha sempre evocato qualcosa che opprime e che fa fare fatica.
Vivendo in una società agricola, Gesù e i suoi ascoltatori sapevano bene cos’era un giogo.
Un giogo è una lunga sbarra di legno, con due incavi sul lato inferiore, che viene posta sul collo di due bestie da tiro, di solito bovini, affinché tirino in coppia un aratro, un carro o qualche altro carico.
Esistevano anche gioghi per gli esseri umani.
Erano semplici sbarre o pali che venivano portati sulle spalle con un peso attaccato a ciascuna estremità. Permettevano di trasportare carichi pesanti.
Per il suo legame con i pesi e con la fatica, spesso il giogo è usato nella Bibbia in senso figurato, come simbolo di dominio e controllo.
Prendere il giogo di Gesù significa semplicemente diventare suoi discepoli.
Ma trovare ristoro sottomettendosi a un giogo non è una contraddizione in termini? Quindi diventare discepoli di Gesù equivale a divenatre succubi e fare fatica?
Gesù parla anche di dolcezza e leggerezza…
Quando egli disse: “Prendete su di voi il mio giogo”, poteva avere in mente due cose.
Se aveva in mente il giogo doppio, cioè quello che unisce due animali perché tirino un carico, allora ci stava invitando a metterci sotto lo stesso giogo con lui.
Avere Gesù al nostro fianco che tira il nostro carico insieme a noi!
Se invece Gesù aveva in mente la sbarra usata dal comune lavoratore, allora ci stava offrendo il mezzo per rendere più facile o comodo il trasporto di qualsiasi carico dobbiamo portare.
Mite e umile di cuore!
È il segreto che ci offre Gesù per trovare quel ristoro che cerchiamo inutilmente riempiendoci di cose (pensiamo alla corsa a i negozi di questi giorni) o imbottendoci di ansiolitici.
Se la nostra società è una consumatrice straordinaria di psicofarmaci, significa che proprio bene non stiamo, nonostante ci continuiamo a illudere del contrario attraverso le lucine e le pubblicità piene di mondi dei balocchi.
Un amico, che di lavoro fa il carotaggio dei muri e taglia i muri per aprire porte, mi dice che la sua macchina ha delle lame con una punta di diamante capace di spaccare e tagliare i muri più resistenti.
Gesù ci parla di mitezza, che è una forza straordinaria capace di tagliare i muri più duri.
La mitezza è rispondere al male con il bene: una cosa portentosa, meravigliosa…essere bene ad oltranza, essere amore ad oltranza, anche di fronte al male...ma avremo modo di contemplarla davanti alla croce.
L’umiltà, invece, la vediamo rifulgere proprio a Natale, quando Dio si fa bambino e, come vedremo, ci conquista non con la forza, ma con la tenerezza o, se volete, con la forza della tenerezza.
San Francesco d’Assisi l’aveva intuito bene se i suoi biografi ci dicono che era costantemente attratto dall’umiltà dell’incarnazione e dalla carità della passione.
Perciò prendere il giogo di Gesù significa lasciarci accompagnar e eguidare da lui e dal suo amore e questo porta in noi quella pace e gioia che cerchiamo e a cui aneliamo costantemente.

LA PECORA (Bruno Ferrero)
Appena creata, la pecora scoprì di essere il più debole degli animali. Viveva con il continuo batticuore di essere attaccata dagli altri animali, tutti più forti e aggressivi. Non sapeva proprio come fare a difendersi.
Tornò dal Creatore e gli raccontò le sue sofferenze.
“Vuoi qualcosa per difenderti?”, le chiese amabilmente il Signore.
“Sì”.
“Che ne dici di un paio di acuminate zanne?”.
La pecora scosse il capo: “Come farei a brucare l’erba più tenera? Inoltre mi verrebbe un’aria da attaccabrighe”.
“Vuoi dei poderosi artigli?”.
“Ah no! Mi verrebbe voglia di usarli a sproposito.
“Potresti iniettare veleno con la saliva”, continuò paziente il Signore.
“Non se ne parla neanche. Sarei odiata e scacciata da tutti come un serpente”.
“Due robuste corna, che ne dici?”.
“Ah no! E chi mi accarezzerebbe più?”.
“Ma per difenderti ti serve qualcosa per far del male a chi ti attacca…”.
“Far del male a qualcuno? No, non posso proprio. Piuttosto resto come sono”.
Siamo, in un certo senso, come piccoli animali senza nemmeno una pelliccia o denti aguzzi per difenderci. Ciò che ci protegge non è la cattiveria ma l’umanità: la capacità di amare gli altri e di accettare l’amore che gli altri vogliono offrirci.
Non è la nostra durezza a darci il tepore la notte, ma la tenerezza, che fa desiderare agli altri di scaldarci. La vera forza dell’uomo è la sua tenerezza.

Pace e bene e buona giornata!

+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse:
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

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